Giampiero Giuliucci

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Bio-bibliografia

Giampiero Giuliucci nasce a Cesena nel 1940. Si laurea in Filosofia Estetica all’Università di Bologna. Pubblica nel 1984 la raccolta di poesie Lei e le altre (ed. Longo).

Dal 1993 vive a Torreglia (Padova), sui Colli Euganei. Lavora come insegnante di discipline umanistiche nelle scuole medie e superiori di Abano Terme (Padova). Inoltre, presso il Provveditorato agli studi di Padova, realizza progetti e svariate pubblicazioni sulla prevenzione e la salute dei giovani.

Pubblica nel 1996 il libro di favole per bambini Il mondo, una famiglia (ed. Piccolo).

Nel 2001, è ideatore del Premio biennale San Sabino di poesia religiosa (nonostante la sua intensa attività, articolata in numerose e continue iniziative culturali e letterarie, questa era forse quella che più amava, alla quale dedicò le energie e i pensieri fino alla fine).

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Nel 2003 pubblica Medil (ed. Venilia). Le sue poesie sono presenti nelle antologie dei Poeti Aponensi (2002 e 2005), nei quaderni di poesia del Gruppo artisti della Saccisica. Nel 2008 arriva a pubblicare, negli Stati Uniti, con Legas, Bella and other poems, una raccolta dedicata alla propria setter (già pubblicata nel 2002 con il titolo Bella e l’amore, ed. Venilia. Nel 2009 è la volta di Il fuoco – la neve (ed. Cleup), con le foto di Toni Baruffaldi, sulla pace e sulla guerra. Sempre nel 2009, pubblica un’altra raccolta di poesie, ora dedicata alla moglie scomparsa: Canzoni d’amore per Albertina (ed. Panda).

Collabora con l’Università di Padova nell’ambito degli studi sull’ecologia umana. Socio del Gruppo Poeti UCAI, è presente nelle antologie dell’associazione. Partecipa alla giornata mondiale UNESCO della poesia. Suoi articoli specializzati sono apparsi in riviste letterarie come Il Verri e altre, e in libri d’arte. Organizza incontri e presentazioni di autori di letteratura contemporanea. I suoi impegni artistici si sono estesi all’ambito teatrale, mettendo in scena, nel maggio 2010, lo spettacolo Monologum Trio in tre quadri, di cui è stato l’autore e l’interprete del terzo quadro: Questa specie d’amore.

Nel 2011, scompare all’età di 71 anni.

Poetica

La poesia è il modo più intenso e umano di comunicare. Essa non è evasione futile o ideologica, ma realistica, comunicazione di vere esperienze. Nella mia poesia, lo scorrere di questa comunicazione è narrativo a più toni, alcuni sarcastici, altri più confidenziali. Gli argomenti di questa narrazione sono la vita quotidiana, la natura, il tempo, la memoria, la metropoli, la cultura diffusa, il complesso sentimento d’amore, Dio. Lo stile propone canzoni, poemetti più che sonetti o frammenti. I versi non sono tradizionali, la quantità sillabica libera. L’afflato lirico è sempre legato all’esperienza concreta. Il realismo è espresso spesso con il lessico della tradizione letteraria, ma anche con il parlato e il plurilinguismo. Il verso è libero, senza rime, con ritmo scandito in grappoli cadenzati dal senso della lettura. L’indeterminazione allusiva comunque non mi appartiene, pure la rispetto. La buona poesia in lotta perenne con la massificazione culturale, dopo Montale, oltre il decadentismo, i crepuscolari, la neoavanguardia, mi sconsiglia il monumentale o il celebrativo e mi spinge verso il linguaggio usato a tutti i livelli e alla realtà del sentire. Ciò non comporta predestinazione moralistica o ideologica, ma legame personale con la realtà e con l’esperienza oggettiva. Il rapporto dentro-fuori, pur avendo come presupposto l’interiorità, come diceva Montale, è ancora centrale ed è il fuori a prendere spazio. Tra lo specchio e la lampada, preferisco la lampada. In questa cultura della comunicazione intensissima e sempre sponsorizzata, questa poetica non può seguire l’episodicità, ma appropriatasi dell’esperienza ricostruire il disincanto, ciò la realtà disvelata. Se non mi attrae la concitazione emotiva incontrollata, né il fantasticare sfrenato, mi attraggono la libertà dell’intuizione, lo slancio affettivo, la sapienza riflessiva espresse da acuta creatività linguistica. A volte così mi trovo entusiasta di un forte vitalismo affettivo, dal vissuto che sfuma nella memoria e nel ricordo. Altre volte mi lego alla persona biologica per salire alla storia sociale, filosofica e religiosa. Nella cultura attuale di grande promiscuità, di banalizzazione massificata, nella rifusione di tanti segni, si può ancora sperare di ritrovare, in modo intuitivo, la vera intensità del reale ed esprimerla con un linguaggio comprensibile? Le esigenze espressive del mio pensiero mi fanno sperare di sì.

Anche l’arte la poesia la ricerca della bellezza sono un gesto d’amore e di conoscenza che ritrova nella spiritualità e nell’anima dell’uomo universale i valori del Vangelo e della sua cultura.

La mia poesia religiosa, nata dallo smarrimento e dalla incomprensibilità della nascita e della morte, della guerra e dell’odio, si è evoluta ed elevata con linguaggio rinnovato alla ricerca della cultura della sacralità, con riferimenti globali legati alla cultura inglese spagnola giapponese e naturalmente a quella classica greco-latina.

La luce di Gesù e quella del Vangelo mi sostengono nella fede. La mia creazione poetica cerca così la via per comunicare il mondo alla luce del Vangelo. Ritrovo i problemi di contenuto e forma, di fantasia ed intuizione, in un linguaggio moderno per condurre i sentimenti le emozioni i pensieri del lettore allo Spirito che con poesia ci innalza al Bene.

 

 

La visione di Gregorio Barbarigo

 

 

Nella sera d’inverno s’affievolisce la luce del giorno

Prende il cuore il pensiero di Dio.

 

Gregorio Barbarigo al libro attento ha la mente rivolta

A Maria, la piccola vergine remota divenuta sacra

Per gli uomini che ha salvato.

Maria gli indica Antonio Agostino Anselmo Gregorio

Domenico Tommaso Bonaventura ma sopra a tutti

Francesco.

…Frate Leone adagiami sulla terra nudo che restituisca

Il corpo per nulla usato per me ma sempre per aiutare

I poveri specie i lebbrosi… e voi rondini del cielo

Portate l’anima mia ad Assisi…

Gli occhi di Gregorio si empiono di lacrime.

Qui a Padova c’era un tempo un maniero di barbari feroci

Senza legge e senza pietà ed ora c’è Maria e la sua chiesa

Nella sera d’inverno una luce di pace rischiara il cielo.

 

 

Giampiero Giuliucci

La Pieve di San Sabino a Torreglia

~ ~ ~ Cenni storici ~ ~ ~

 

Simbolo e baricentro del nucleo di Torreglia Alta, la chiesa di S. Sabino è l’antica chiesa parrocchiale citata per la prima volta in documenti medievali risalenti all’anno 1077. Sorge in posizione sopraelevata tra due valli: la Valderio e la Vallorto, sul piccolo Colle della Mira, da cui si gode di un vasto panorama sulla pianura e sui colli circostanti.

Alla chiesetta si accede tramite una doppia scalinata che introduce al piccolo sagrato sul quale svetta sul lato destro un’alta e possente torre campanaria, che pare sia stata ricavata dai resti di un antichissimo fortilizio. Proprio da questa torre deriva probabilmente il toponimo Turricula, che ha dato origine al nome del paese. Del castello non rimane oggi nessuna traccia, ma sicuramente il colle chiamato “della Mira” indicava in epoca medievale la presenza di un presidio fortificato con funzione di avvistamento.

La chiesa di S. Sabino nel XIV sec. risulta essere alle dipendenze della pieve di Luvigliano; nei secoli successivi, divenuta parrocchiale, ha vissuto momenti alterni che hanno portato al degrado parte dei suoi edifici. Ricostruita nel corso del XVII secolo, è stata restaurata nel 1765 nelle forme attuali, grazie al sostegno economico elargito dall’illustre letterato Jacopo Facciolati.

Lo stile tardo barocco si manifesta esternamente nella decorazione della facciata ornata da statue poste in un architrave “spezzato” e internamente nell’altare maggiore, sormontato da un ricco tabernacolo in marmo e da una pregevole pala raffigurante la Madonna in trono tra santi. Altre decorazioni barocche presenti nella chiesa sono i due altari laterali, uno dedicato alla Madonna del Rosario e uno ai SS. Rocco e Sebastiano, protettori dalla peste.

Sulla parete nord della navata si trova il monumento funebre di un altro celebre letterato che soggiornò a lungo a Torreglia, l’abate Giuseppe Barbieri, il quale chiese di essere seppellito in questo luogo a lui tanto caro. Una lapide in fondo alla chiesa ricorda anche Niccolò Tommaseo, che fu ospite del Barbieri a metà ‘800 nella villa denominata “Il Tauriliano”, oggi di proprietà della famiglia Verson.

Altre preziose opere d’arte donate dal colto e generoso Facciolati adornavano in passato la chiesa, che fu in più occasioni depredata da ladri e trafugatori di beni storico-artistici. Il dipinto più prezioso, una tavola di scuola veneziana che riproduce “L’adorazione dei Magi” del Mantegna, è stato tratto in salvo e si trova ora custodito nel Museo Diocesano a Padova.

Le adiacenze della chiesa, un tempo canonica e abitazione del parroco, sono oggi adibite a piccolo eremo: l’eremo di S. Luca. Su richiesta vi si può soggiornare per brevi periodi di ritiro e preghiera.

Testo tratto dal sito: www.collieuganei.it