Quaresima 2015

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La pace e l’ipocrisia. Impegno o abitudine?

La rinuncia al segno di pace: una scelta per la Quaresima

 

Facciamo molte cose semplicemente perché: «Le abbiamo sempre fatte così…». L’abitudine può rendere ‘normali’ delle cose ‘straordinarie’, può ‘appiattire’ delle cose ‘alte’. L’abitudine può ‘svuotare’ anche cose ‘piene di senso’. Tutto è esposto a questo    rischio. È importante dunque creare delle interruzioni per rompere dei ‘modi di fare’, rinnovare le convinzioni e il significato: cambiare e camminare, invece di «fare come  abbiamo sempre fatto». Viviamo anche molte cose della fede come abbiamo imparato a viverle, senza cambiamenti, anzi un po’ infastiditi da possibili novità che disturbano comportamenti automatici.

Ogni anno la Quaresima, il Mercoledì delle Ceneri, inizia con delle parole esigenti di Gesù contro l’ipocrisia (Matteo 6,1-6.16-18). Niente elemosina, niente preghiera, niente digiuno per farsi vedere, ma solo senza ipocrisia, alla ricerca unicamente dello sguardo del Padre, incuranti di quello delle persone.

La sapienza della liturgia cristiana propone giustamente dei gesti facoltativi per    evitare il rischio di svuotarli. Tra questi c’è lo scambio di un segno di pace prima della comunione. Nel Messale Romano c’è scritto: Se si ritiene opportuno, il diacono, o il sacerdote aggiunge: «Scambiatevi un segno di pace». Se si ritiene opportuno… quindi è un gesto da vivere con consapevolezza, senza abitudine, senza obbligo, proprio perché sia          significativo, perché esprima il cammino di tutti verso la pace.

«Pace a voi!»: la pace è un dono del Signore Risorto. Ecco la proposta di rinunciare   allo scambio di un segno di pace durante tutto il tempo di Quaresima. Rinunciamo dunque a questo gesto per impegnarci ad accogliere il dono della pace (La pace del Signore sia sempre con voi) e a invocarlo sempre (Agnello di Dio… dona a noi la pace), per        viverlo ogni giorno, con gesti di pace. Nella verità, con impegno, senza abitudine.

Come si evangelizza?

Alcuni spunti da una Lettera del 2003 del card. Carlo Maria Martini, Alzati, va’ a Ninive, la grande città, alla chiesa di Milano. Si evangelizza in molti modi. Tenendo presenti gli esempi contenuti nel Nuovo Testamento, possiamo distinguere i seguenti:

  • Evangelizzare per proclamazione: è il modo di Gesù che “si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,14-15). La proclamazione non è però limitata alle occasioni pubbliche. Può avvenire anche nel dialogo fraterno, come quello di Gesù con la samaritana (Gv 4) o con i discepoli di Emmaus (Lc 24).
  • Evangelizzare per convocazione: è l’andare a chiamare tutti al banchetto, come fanno i servi della parabola: “Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze” (Mt 22,9).
  • Evangelizzare per attrazione: così fa la prima comunità di Gerusalemme che, anche senza inviare missionari, vede accorrere “la folla dalle città vicine a Gerusalemme” (Al 5,16).
  • Evangelizzare per irradiazione: come la lampada sul candeliere o la città sul monte “perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16), 0 “come una lampada che arde e risplende”, alla cui luce ci si rallegra (cf. Gv 5,35). Si evangelizza con una “condotta irreprensibile tra i pagani, perché… al vedere le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio” (1Pt 2,12).
  • Evangelizzare per contagio (è una sfumatura del modo precedente): come una lampada si      accende da un’altra lampada, come un sorriso genera un altro sorriso. Può essere da persona a persona, da gruppo a gruppo, da gruppo a persone singole che sono contagiate dalla fede gioiosa di una comunità: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra” (Lc 12,49). “Anche se alcuni si rifiutano di credere alla Parola” possono “senza bisogno di parole essere conquistati considerando la vostra condotta”.
  • Evangelizzare per lievitazione: è un modo meno appariscente, più lento e nascosto, come “il lievito che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina porche tutta si fermenti” (Mi 13,33). Questo modo vale in particolare per la “evangelizzazione delle culture”. Tutti questi    diversi modi non si distinguono sempre adeguatamente e si integrano a vicenda.

2015: anno della vita consacrata

L’Anno della Vita Consacrata non riguarda soltanto le persone consacrate, ma la Chiesa intera. Mi rivolgo così a tutto il popolo cristiano perché prenda sempre più consapevolezza del dono che è la presenza di tante consacrate e consacrati, eredi di grandi santi che hanno fatto la storia del cristianesimo. Cosa sarebbe la Chiesa senza san Benedetto e san Basilio, senza sant’Agostino e san Bernardo, senza san Francesco e san Domenico, senza sant’Ignazio di Loyola e santa Teresa d’Avila, senza sant’Angela Merici e san Vincenzo de Paoli. L’elenco si farebbe quasi infinito, fino a san Giovanni Bosco, alla beata Teresa di Calcutta? Il beato Paolo VI affermava: «Senza questo segno concreto, la carità che anima l’intera Chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso salvifico del vangelo di smussarsi, il “sale” della fede di diluirsi in un mondo in fase di secolarizzazione».

Invito dunque tutte le comunità cristiane a vivere questo Anno anzitutto per ringraziare il Signore e fare memoria grata dei doni ricevuti e che tuttora riceviamo per mezzo della santità dei Fondatori e delle Fondatrici e della fedeltà di tanti consacrati al proprio carisma. Vi invito tutti a stringervi attorno alle persone consacrate, a gioire con loro, a condividere le loro difficoltà, a collaborare con esse, nella misura del possibile, per il perseguimento del loro ministero e della loro opera, che sono poi quelli dell’intera Chiesa. Fate sentire loro l’affetto e il calore di tutto il popolo cristiano.

Benedico il Signore per la felice coincidenza dell’Anno della Vita Consacrata con il Sinodo sulla famiglia. Famiglia e vita consacrata sono vocazioni portatrici di ricchezza e grazia per tutti, spazi di umanizzazione nella costruzione di relazioni vitali, luoghi di    evangelizzazione. Ci si può aiutare gli uni gli altri.

  • Ogni anno il 2 febbraio, nella festa della Presentazione al tempio di Gesù,  preghiamo in modo particolare per tutti i religiosi e religiose del mondo.

La fede e l’influenza

Esperienza significa che qualcosa influenza il corpo e quindi le emozioni e        viceversa. Pensare significa trasformare esperienze corporee ed esperienze        emotive in parole. Le parole a volte rimangono nella mente e altre arrivano perfino a essere scritte. Pensare l’influenza significa trasformare in parole i fazzoletti, gli starnuti, i mal di testa, le pastiglie «Devo stare dentro…», «Sono raffreddata…», «Devo coprirmi…»; «Non posso venire…», «Devo stare isolato…», «Devo aspettare che mi passi…»… Le parole dell’influenza (a pensarci bene) sono poi le stesse dell’insolazione! Tra ogni cosa infatti ci sono sempre relazioni di somiglianza e di differenza: pensare significa trovare le parole che dicono l’identità e la diversità. Tra la fede e l’influenza, ad esempio, ci auguriamo tutti che la prima rimanga sempre mentre la seconda passi in fretta (differenza), ma ugualmente che la prima contagi tutti e la seconda nessuno, ma sempre di un contagio si tratta (somiglianza).

Pensare l’influenza ci invita a essere consapevoli di un tempo nella vita dove è bene stare dentro, stare al caldo, coprirsi, rinunciare a qualcosa, stare da soli, aspettare…, come ci sarà un tempo nel quale è bene stare fuori, stare al fresco, spogliarsi, non lasciarsi sfuggire un’esperienza, stare insieme, correre

A pensarci bene… l’influenza può dirci molto sulla fede (sulla chiesa, parrocchia, preghiera…) che a volte diciamo fredda, raffreddata, chiusa, isolata, lenta… Perché non imparare dall’influenza ciò che è bene anche per la fede? Starci dentro, non fuggire. Creare calore, non portare freddo. Proteggersi e farsi aiutare, non isolarsi e fare da soli. Aspettare e sperare, non avere fretta e disperarsi. Ci auguriamo dunque che la fede abbia più influenza sulla nostra vita e l’influenza abbia più influenza sulla nostra fede.

Don Giulio Osto

La passione dell’ecumenismo

L’impegno ecumenico risponde alla preghiera del Signore Gesù che chiede che «tutti siano una sola cosa» (Gv17,21). La credibilità dell’annuncio cristiano sarebbe molto più grande se i cristiani superassero le loro divisioni e la Chiesa realizzasse «la pienezza della cattolicità a lei propria in quei figli che le sono certo uniti col battesimo, ma sono separati dalla sua piena comunione». Dobbiamo sempre ricordare che siamo pellegrini, e che peregriniamo insieme. A tale scopo bisogna affidare il cuore al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze, e guardare anzitutto a quello che cerchiamo: la pace nel volto dell’unico Dio. Affidarsi all’altro è qualcosa di artigianale, la pace è artigianale. Gesù ci ha detto: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). In questo impegno, anche tra di noi, si compie l’antica profezia: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri» (Is 2,4).

Data la gravità della controtestimonianza della divisione tra cristiani, particolarmente in Asia e Africa, la ricerca di percorsi di unità diventa urgente. Se ci concentriamo sulle convinzioni che ci uniscono e ricordiamo il principio della gerarchia delle verità, potremo camminare speditamente verso forme comuni di annuncio, di servizio e di testimonianza. […] Sono tante e tanto preziose le cose che ci uniscono! E se realmente crediamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi. Solo per fare un esempio, nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità. Attraverso uno scambio di doni, lo Spirito può condurci sempre di più alla verità e al bene.

 

Papa Francesco, Esortazione Evangelii Gaudium n.244-246

I 20 comandamenti, i cristiani e gli ebrei

L’eccellente spettacolo televisivo del 15 e 16 dicembre 2014, a cura di Roberto Benigni, ha riportato all’attenzione di un sesto degli italiani il testo biblico di    Esodo 20,1-17, conosciuto con il titolo: i dieci comandamenti. Da centinaia di   anni le dieci parole (deca-logo) sono commentate da migliaia di persone dai rabbini in primis, fino alla mamma, alla nonna, alla catechista o al prete che forse ce li ha insegnati e, più o meno, spiegati. I ‘dieci comandamenti’ esistono infatti solo se diventano venti cioè il testo + un commento. Una parola incompresa è infatti insignificante e inutile. Solo se una persona dedica attenzione per una comprensione personale scopre doppiamente una cosa: la parola (le 10 parole della Bibbia) e il suo significato (le 10.000 parole di Benigni o di qualcun altro). Ecco in questo senso tre occasioni di formazione da non perdere:

  • «Non pronuncerai falsa testimonianza…». Commento del rabbino capo di Padova, Adolfo Aharon Locci. Giovedì 15 gennaio, ore 20.45, Salone Lazzati, Casa Pio X.(via Vescovado 29, Padova. Parcheggio in piazza Duomo fino alle ore 23.00).
  • Il Gesù di Marco. Conferenza di Paolo Ricca, teologo valdese. Giovedì 22 gennaio, Chiesa Evangelica Metodista, (Corso Milano, 6, Padova). Paolo Ricca ha aiutato Benigni con il libro: Paolo Ricca, Le dieci parole di Dio. Le tavole della libertà e dell’amore, Morcelliana, Brescia 2014, pagine 240, € 13,50.
  • Dieci comandamenti. Dieci parole di vita nuova. Ogni settimana, tutti i mercoledì dal 7 gennaio 2015 in poi, ore 21.00-22.00 presso la Chiesa di Chiesanuova, (via Chiesanuova, 90-Padova). Per tutti: dai 18 ai 150 anni,  ingresso libero. Catechesi a cura di don Pierpaolo Peron.

Partecipare almeno a uno di questi tre appuntamenti è… un comandamento.

 

Don Giulio Osto

L’Angelus: il Natale pregato

I cristiani pregano ogni giorno l’Angelus. Il Papa lo prega pubblicamente ogni domenica alle 12.00.

L’Angelus è una preghiera totalmente natalizia! Preghiamo con i testi del Vangelo. Preghiamo con le parole dell’Annunciazione di Maria e con le parole del Vangelo secondo Giovanni che in due frasi descrivono il mistero dell’incarnazione: «Il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi». Preghiamo il Signore perché ci accompagni ogni giorno della nostra vita, fino alla gloria delle risurrezione.

Sia questo il modo più bello per augurarci un Buon Natale, con le parole del Vangelo sulle labbra! Parole che ci annunciano l’Emmanuele, il Dio-con-noi, ogni giorno.

Quando i cristiani fanno: “Oh…”

Le Antifone Maggiori dell’Avvento

L’elemento più caratteristico dal 17 al 23 dicembre è la presenza delle Antifone “O”, dette anche Antifone Maggiori di Avvento che aprono e concludono il Magnificat nei Vespri, a ricordare che il Messia ci viene donato da Maria. Sono così chiamate perché iniziano sempre con il vocativo formato dall’interiezione “O”, seguita da uno dei titoli attribuiti a Gesù.

Le Antifone Maggiori sono sette preghiere molto antiche entrate nella liturgia romana intorno al IX secolo. Composte da passi biblici sviluppano ciascuna un tema racchiuso nel titolo con cui iniziano, in latino: O Sapientia (17 dic), O Adonai (18 dic), O Radix Iesse (19 dic), O Clavis David (20 dic), O Oriens (21 dic), O Rex gentium (22 dic), O Emmanuel (23 dic).

Un aspetto estremamente curioso è il fatto che le lettere iniziali dei sette titoli cristologici latini, messe in ordine dall’ultima alla prima (vedi riquadro), formano l’acrostico ERO CRAS, sarò domani: è la promessa di Cristo nell’imminenza della sua venuta. Il singolare e ‘segreto’ legame tra tutti i titoli messianici rivelano l’unitarietà di questi testi che formano nel loro insieme una ricchissima riflessione sul mistero dell’incarnazione e sul senso dell’Avvento. Le Antifone Maggiori costituiscono un grandioso sentiero di sette tornanti che ci portano con pazienza e profondità a Betlemme.

don Giulio Osto

L’orchestra della gioia

Spunti per la terza settimana di Avvento

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési  (1Ts 5,16-24)
Fratelli, siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.  Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male. Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo!

La Terza Domenica di Avvento ci rivolge sempre un invito alla gioia, perché ormai la celebrazione del Natale è vicina.  A partire dalla II lettura possiamo comporre un insieme di suggerimenti diversi che insieme vanno a formare un’orchestra della gioia dove ogni singolo strumento fa la sua parte, ma solo nell’insieme si realizza la gioia del vangelo. L’esperienza della gioia è infatti  complessa perché legata a diversi fattori che devono amalgamarsi insieme in armonia. San Paolo ne enumera alcuni e li mette tutti in connessione a indicare uno stile. Ecco dunque: 1) la preghiera; 2) rendere grazie, la lode; 3) non spegnere lo Spirito; 4) non disprezzare le profezie; 5) vagliare ogni cosa e tenere ciò che è buono: il discernimento; 6) astenersi dal male; 7) essere irreprensibili. È proprio l’insieme e la relazione armonica di tutte queste pratiche che porta a una sinfonia della gioia. A noi dirigere l’orchestra.

Don Giulio Osto