La storia del Castelletto affonda le radici nel periodo a cavallo tra primo e secondo millennio, quando prendono forma tre fortificazioni nell’area di Torreglia, nel contesto del processo di incastellamento dei Colli Euganei: una a Luvigliano, un’altra sul colle del Castelletto, una terza, la più importante, sul Colle della Mira, dove la torre sarebbe all’origine del toponimo Turricla/Torreglia. Nel tempo queste strutture perdono sempre più la funzione di opere di difesa per divenire dimore di ricche e potenti famiglie.
Quel che è certo è che nel XIII secolo, mentre gran parte del territorio di Torreglia fa parte dei domini feudali della locale stirpe dei Da Lozzo, il Castelletto è invece proprietà di quella padovana dei Bibi, una famiglia della borghesia cittadina al servizio del tiranno Ezzelino da Romano. Le cronache del ‘200 ricordano un Alberto Bibi, notaio e tesoriere di Ezzelino; una tomba di famiglia è ancora oggi visibile nel primo chiostro del convento del Santo a Padova, convento a cui il notabile fece una ricca donazione all’atto della sua morte. Uomo alquanto scaltro questo Alberto Bibi, se è vero che, caduto il tiranno suo amico, riesce a evitare le rappresaglie dei vincitori, a conservare il suo “castelletto” euganeo e a dare ulteriore lustro al proprio nome dando una sua figlia in sposa a uno della famiglia Da Carrara. Nel secolo seguente, politicamente segnato proprio dalla Signoria dei Carraresi, il luogo passa ad altri nobili proprietari, rimasti ignoti. Ci ricordano il periodo medievale soprattutto le muraglie più antiche, visibili all’esterno, a destra dell’ingresso da cui si accede alla ripida stradina lastricata. Nella seconda metà del ‘400 nel Castelletto risiede il canonico Matteo Aliprandi, che lo sceglie come luogo di meditazione e di villeggiatura. A lui si deve una bella decorazione pittorica, una cornice in stile mantegnesco, visibile all’interno di una sala della abitazione (in cui vive ora la famiglia Todeschini-Lovisatti). Elisabetta Aliprandi, omonima ma non parente del canonico, vedova del nobile padovano Gerolamo Candi, risulta esserne proprietaria nella seconda metà del ‘500. Con questa figura femminile la storia del Castelletto vive una svolta decisiva. Da luogo di svago e di vacanza diventa una proprietà ecclesiastica e al tempo stesso vera e propria impresa agricola. È proprio Elisabetta che, morendo di peste nel 1576 (durante una terribile epidemia che fa strage di padovani sia sui Colli che in città), nomina eredi dei beni di sua proprietà a Torreglia i monaci benedettini dell’Abbazia di Santa Giustina. La volontà testamentaria della Aliprandi viene a lungo contestata dai parenti del marito, ma alla fine i benedettini entrano in possesso del Castelletto e delle sue pertinenze. Ben 35 volumi di atti processuali testimoniano la fatica di dare seguito al desiderio della nobildonna e al tempo stesso fanno capire quanto il luogo fosse apprezzato (e ambito) anche per la produttività dei terreni. Nel 1584 per volere dell’abate di quel tempo, Paolo Orio, patrizio veneziano, i benedettini costruiscono vicino alla casa una imponente ed elegante chiesa a unica navata, dedicata a Santa Maria della Misericordia, quella in cui viene celebrata la Messa la 4^ domenica di ottobre. Qui naturalmente viene collocata (sotto il pavimento) la sepoltura della benefattrice Elisabetta Aliprandi, in base a una sua precisa richiesta. I monaci di Santa Giustina organizzano nel XVII secolo una vera e propria azienda agricola, costituita da 700 campi di cui 300 a bosco. Ai piedi del colle ancora oggi vediamo quanto resta della casa del gastaldo che governava quell’azienda, con i suoi annessi rustici (cantina, stalle, torre colombara, brolo, forno per il pane): si tratta delle attuali Cantine Bernardi. Numerosi i contadini che in qualità di fittavoli lavoravano, in base a precisi contratti, per la rettoria del Castelletto. Per tutto il ‘600 e il ‘700 ogni anno il monaco rettore, al momento del raccolto o della consegna del “quartese” (una sorta di tassa in natura, fatta di primi frutti, uva e frumento, versata da ogni fittavolo), viene qui da Padova e soggiorna nel Castelletto. Per il resto del tempo qui abita stabilmente un monaco benedettino che è anche sacerdote, incaricato di celebrare la Messa quotidiana in suffragio della benefattrice e di amministrare i sacramenti per tutti gli abitanti della contrada. La storia di questa tenuta agricola e del suo centro religioso viene interrotta dalle confische napoleoniche ai danni dell’Abbazia di Santa Giustina: nel 1810 l’intero patrimonio viene messo all’asta e acquistato, con i beni dell’Abbazia di Praglia, dal mercante di grani Angelo Comello. La proprietà, tra Ottocento e Novecento, passa quindi alla famiglia veneziana dei principi Giovanelli (che possiede pure la Villa Contarini-Venier di Vo’ Euganeo) e poi all’Ordine dei Cavalieri di Malta. Nel secondo dopoguerra la tenuta viene definitivamente smembrata, mentre il colle e gli edifici del Castelletto diventano proprietà della famiglia Todeschini-Lovisatti.
Pietro Antoniazzi, ottobre 2016