12 giugno. Festa della missione. In tono minore, ma gli obiettivi sono confermati: incontrarsi e condividere

Non la Festa della missione a cui si era abituati, ma una celebrazione che possa essere la base di partenza dopo questi mesi difficili.

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Nomine 2021/06

  • Don Attilio De Battisti, fidei donum rientrato dalla Thailandia, è stato nominato parroco di Laghi di Cittadella.
  • Don Giuliano Miotto, delegato vescovile per la razionalizzazione del patrimonio immobiliare, è nominato anche parroco delle parrocchie del centro storico di Padova
  • Don Maurizio Brasson prende servizio presso il Santuario di Santa Maria delle Grazie in Piove di Sacco, in sostituzione di padre Cristiano Cavedon che, su indicazione della competente Provincia dei Servi di Maria, torna a svolgere il ministero nella parrocchia cittadina dei Servi.
  • Don Marco Gobbatti viene nominato collaboratore delle parrocchie del Centro storico di Padova
  • Don Giulio Osto, assistente del Collegio Gregorianum, è stato nominato vice direttore dell’Istituto superiore di Scienze religiose di cui è docente e segretario.

Merlara. La pandemia ha privato del contatto con i ragazzi. Buon le iniziative on line, ma…

La pandemia ha suscitato in tutte le comunità l’ansia di recuperare il cosiddetto “tempo perduto”. Questo tempo può essere opportunità di discernimento per “ricominciare”, più che “ripartire”, nella fatica di “potare” il nostro consueto per ritrovare le vere priorità pastorali. Secondo una catechista del primo discepolato della parrocchia di Merlara, riesce difficile parlare di “potature” ma piuttosto di “calma” nell’ affrontare il prossimo anno.

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San Vito di Valdobbiadene. In festa al Caravaggio

Incastonato in mezzo alle case di San Vito di Valdobbiadene, tra il verde del monte Perlo e i campi delle vigne di prosecco, il santuario della Madonna di Caravaggio è un gioiello di storia, architettura, fede e devozione.

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Estate. Tante proposte per continuare a crescere

Catechisti e accompagnatori, ma non solo, sono invitati a due appuntamenti interessanti: il Festival biblico, che a Padova si svolgerà dal 24 al 27 giugno (info festivalbiblico. it); la Settimana biblica diocesana a Villa Immacolata dal 27 al 30 agosto. Quest’anno l’esperienza si potrà vivere sia in presenza che on line.

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Salboro. Modi e tempi nuovi per tenere accesa la lampada della fede

Tante riflessioni, nate dalla “sosta forzata” della pandemia, hanno aiutato i catechisti ad accogliere questo tempo come opportunità.

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Condividiamo le cose belle vissute in parrocchia. Quelle che abbiamo scelto di continuare a curare, “tagliandone” altre… pur con fatica

Che le nostre comunità, ben potate, diano uva matura.

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Bilancio, strumento di spiritualità. Le priorità del vescovo Claudio e della Chiesa di Padova

Scegliere perché il passato non uccida il futuro. Come spendiamo dice ciò che è importante per noi. Le priorità del vescovo Claudio e della Chiesa di Padova.

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2 E Noemi la migrante si alzò

Per quelle quattro miglia trascorse insieme a Noemi, Orpa ebbe il privilegio
di mettere al mondo quattro giganti, cioè Golia
e i suoi tre fratelli
Louis Ginzberg, Le leggende degli ebrei

«Al tempo dei giudici ci fu nel paese una carestia…» (Rt 1,1). Nei pochi versi del Libro di Rut ogni nome è un messaggio. Come in una miniatura medioevale, il capolavoro nasce dalla cura dei dettagli. Al tempo dei giudici… Il libro dei Giudici descrive un tempo di violenza e di soprusi, e si chiude con il racconto – tra i più tremendi della Bibbia – dell’omicidio perpetrato da uomini di Gadaa nei confronti di una donna di Betlemme (Gdc 19,29). Il Libro di Rut inizia con un’altra donna di Betlemme: Noemi (o Naomi). La Bibbia va letta tutta insieme, perché, come nella vita, il senso di una parola lo si trova anche in un’altra, anche lontana. Ci fu nel paese una carestia. Nella Bibbia le carestie non sono soltanto eventi climatici. Sono anche teofanie, parole di Dio. Una carestia condusse Abramo in Egitto, un’altra ci portò i figli di Giacobbe e lì avvenne la grande riconciliazione con il loro fratello Giuseppe. Spesso una carestia è dolore che prepara una resurrezione. È un dolore che ci costringe a uscire da una terra che senza quel dolore non avremmo mai lasciato. Nella Bibbia qualche volta le persone partono inseguendo una voce; altre volte partono inseguendo acqua a pane. Per poi scoprire, ma solo alla fine, che dentro quel dolore che li aveva fatti fuggire di casa c’era lo stesso amore. Ma per capirlo c’è voluto tutta la vita, a volte quella di molte generazioni.

«E un uomo con la moglie e i suoi due figli emigrò da Betlemme di Giuda». Una famiglia emigra. Ancora non sappiamo i loro nomi, ma subito sappiamo il nome della città colpita dalla carestia: Betlemme. Quel nome però non sta facilmente accanto alla parola carestia. Betlemme, lo sappiamo, significa “casa del pane”. Quella famiglia per una carestia lascia la casa del pane, va a cercare il pane lontano dalla sua casa. Eccoci dentro un primo paradosso. Erano già dentro la casa del pane e la lasciano per il pane. Ma quella famiglia, diversamente dalle altre grandi migrazioni bibliche, non va in Egitto, dove il ciclo delle acque del Nilo era più forte delle carestie. Va in un luogo improbabile, un nome quasi impronunciabile per gli ebrei del tempo: «nei campi di Moab». Va dai moabiti, che insieme agli ammoniti erano tra gli storici nemici di Israele. Un popolo, poi, che portava iscritto nella sua storia proprio il segno del pane e dell’acqua: «L’Ammonita e il Moabita non entreranno nella comunità del Signore… Non vi entreranno mai, perché non vi vennero incontro con il pane e con l’acqua nel vostro cammino, quando uscivate dall’Egitto» (Dt 23,4-5). Non vi vennero incontro con il pane: perché allora andare a cercare pane là dove il pane era stato negato? La tensione cresce…

«Quest’uomo si chiamava Elimélec, sua moglie Noemi e i suoi due figli Maclon e Chilion; erano Efratei, di Betlemme di Giuda. Giunti nei campi di Moab, vi si stabilirono” (Rt 1,2). Elimélec, cioè il mio Dio (Eli) è re (mélec). Anche qui un nome che parla: quell’uomo migrante porta con sé il legame con quel suo Dio diverso. I nomi dei suoi due figli maschi sono invece nefasti e cupi, traducibili come “malattia” e “tubercolosi” (o “esaurimento”). Nella Bibbia il numero due per i figli in genere non porta bene, a partire da Caino e Abele, passando per Isacco e Ismaele, Esaù e Giacobbe, Rachele e Lia, fino al rapporto tra il figliol prodigo e suo fratello – tanto che André Gide ha voluto immaginare, nella parabola di Luca, un terzo figlio minore, e una madre (“Il ritorno del figliol prodigo”). Due è anche il numero dell’invidia, della rivalità, del conflitto per ottenere il riconoscimento, per l’eredità e la primogenitura. Nella Bibbia il due non è ancora il numero della buona fraternità – e nessun numero lo è se la fraternità non genera un legame più grande di quello del sangue.

E vi si stabilirono. Vissero a Moab da “migranti”. Il verbo gûr (emigrare) e il sostantivo ger (migrante) sono parole di casa nella Bibbia o, meglio, “di tenda”. Vivere in un paese straniero da ger è una buona condizione. In Israele, ad esempio, il ger osservava il Sabato e partecipava alle principali feste. Non sappiamo come fosse la condizione giuridica del ger presso i moabiti, ma non è da escludere una condizione analoga a quella in Israele (“Rut”, Donatella Scaiola, Paoline). Una parola, ger, che al lettore biblico ricorda poi direttamente Abramo: «Io sono uno straniero (ger) residente ospite in mezzo a voi» (Gn 23,4). Abramo abitò la terra promessa da ger, a dirci che la condizione di migrante è la condizione umana, che nessuna terra promessa è per sempre. Nella Bibbia ogni migrazione è continuazione di quella dell’arameo errante, che non ha mai smesso di errare, che ha sempre custodito una nostalgia spirituale profonda per quella casa nomade, libera e povera. Il libro di Rut è molte cose, ma è anche una grande riflessione sulla dimensione nomade della vita, che ci porta a cercar pane lontano dalla casa del pane, poi ci fa tornare, per ripartire ancora inseguendo, come la cerva, altre piste dell’unica vita, che è vera perché provvisoria.

«Poi Elimélec, marito di Noemi, morì ed essa rimase con i suoi due figli» (Rt 1,3). In quella nuova situazione di residenti-migranti a Moab accade un primo evento traumatico. Muore Elimélec. Nel morire viene definito “marito di Noemi”. Prima era Noemi la “moglie di Elimélec”, ora l’uomo è il marito di Noemi, un’espressione rarissima in quelle culture patriarcali, ma che sta bene in un libro al femminile. Il Midrash aggiunge una bella nota su questa definizione: «La morte di un uomo non è sentita da nessuno tranne che da sua moglie» (Midrash Rabbah del libro di Rut, Parashah Beth). Non sappiamo come e perché morì il marito di Noemi. Ciò che è certo è che gli uomini iniziano, uno alla volta, a sparire. «I figli sposarono donne moabite: una si chiamava Orpa e l’altra Rut» (Rt 1,4). Sposare, per due ebrei, delle donne moabite non è un dettaglio secondario. La Legge di Mosè, lo abbiamo visto, non permetteva ai moabiti di diventare membri della comunità di Israele. Ancora il Midrash dà una sua lettura: «Moabita (maschile) ma non moabita (femminile)». Quel divieto allora non valeva per le donne?

Quel mondo patriarcale tutto incentrato sulla legge dei primogeniti maschi, aveva sviluppato delle norme che attenuavano e contrastavano questa legge ferrea. La storia della salvezza è infatti intersecata da primi figli non eletti (Caino, Esaù…) e da ultimi che vengono scelti (Giuseppe, Davide…). E ora vediamo donne che riescono a violare addirittura la Torah di Mosè. C’è una tipica trasgressione femminile. Accanto alle trasgressioni di tutti, maschi e femmine, c’è quella che si insinua nelle intercapedini delle leggi scritte da maschi, nei pertugi di regolamenti pensati e voluti da e per un mondo maschile. Le donne, quasi sempre ospiti di comunità non disegnate da loro, hanno dovuto imparare a sopravvivere infilandosi, spesso di nascosto, in quelle zone grigie e ambivalenti delle leggi, approfittando del non-detto e del non-esplicitato. E qualche volta togliendo quel sassolino dal muro per vedere oltre attraverso un foro, o gettando un seme tra le pietre di un muro a secco. Quel muro qualche volta poi crolla, magari senza averlo voluto – volevano solo vedere un altrove, solo piantare un fiore. C’è una sovversione discreta della legge, un “rovesciare i potenti dai troni” diverso, dove i potenti cadono quasi senza accorgersene.

«Abitarono in quel luogo per dieci anni. Poi morirono anche Maclon e Chilion, e la donna rimase senza i suoi due figli e senza il marito» (Rt 1,4-5). Rimase «come il resto dei resti dell’offerta del pasto» (Parashah Beth). Passano dieci anni (di matrimonio? o di residenza a Moab?), e poi muoiono anche i due figli di Noemi, per di più senza lasciarle nipoti – il testo non lo dice ma il contesto lo suggerisce, come suggerisce una sterilità delle due nuore: dieci anni fu il termine che portò Sara a far unire Abramo con la sua schiava Agar. La vita le lascia solo due vedove: Noemi ha una compagnia tutta femminile. L’economia del racconto ha eliminato i tre uomini dalla scena, e in un libro fatto quasi solo di dialoghi, quegli uomini sono entrati e usciti senza dire neanche una parola. Un campo sgombrato per far risaltare tre donne, tre vedove. A questo punto, in questa condizione simile a un Giobbe femminile – ma cui restano accanto due vedove – Noemi riparte: «Allora lei si alzò con le sue nuore e fece ritorno dai campi di Moab» (Rt 1,6).

Noemi ritorna a casa, alla “casa del pane”. Torna da sconfitta dalla vita. E noi non possiamo non pensare ai tanti emigrati che ripercorrono lo stesso cammino di Noemi, partiti per vivere, e tornati sconfitti da quella vita che li aveva fatti partire. Per le donne questo cammino a ritroso è ancora più triste e duro, prima durante e dopo. Lei si alzò. Come Anna, la madre di Samuele, che dopo le umiliazioni e i pianti per la sua sterilità, «si alzò» (1 Sam 1,9). Come il figliol prodigo, che, un giorno, «si alzò» dal suo porcile, e quell’alzarsi fu il primo passo del ritorno a casa. Il libro non ci dice cosa accadde nell’anima di Noemi tra la morte dei figli e il suo alzarsi. Ma deve essere accaduto qualcosa di simile a quello che continuiamo a vedere in tanti uomini, e ancora più spesso in donne. Chissà quante parole le avranno detto Rut e Orpa – le donne sanno consolarsi solo con le parole, come Sharazad nelle “Mille e una notte” sconfiggono la morte parlando – quel logos che vince thànatos è donna.

«Si alzò» è la fine del lutto. Noemi non restò bloccata nel passato, fu capace di non morire anch’essa insieme ai suoi morti – il lutto è forse solo questo, ma lo abbiamo dimenticato. Si alzò, scelse di continuare a vivere. È la resurrezione di Noemi, la resurrezione di tante donne e uomini, ieri e oggi. Se quelle donne e poi gli uomini dell’antica Palestina furono capaci di riconoscere quella resurrezione diversa, è perché conoscevano le resurrezioni di Agar, di Anna, di Sara, di Noemi. Erano tutte lì, insieme, nel primo giorno tutto il sabato, a far festa per il Crocifisso che si era “rialzato”. Buona Pasqua.
l.bruni@lumsa.it

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ESERCIZI SPIRITUALI PER LAICI

2-4 luglio 2021

Casa di spiritualità Santa Maria del Covolo – Crespano del Grappa (Tv)

Provocato dal periodo storico e dalla propositività della Casa di spiritualità Santa Maria del Covolo di Crespano del Grappa (Tv), l’Ufficio diocesano di pastorale della famiglia torna a proporre dopo alcuni anni una breve esperienza di esercizi spirituali per laici (adulti e giovani-adulti, coppie di genitori, single, persone vedove,…).

La tre-giorni di spiritualità offre l’opportunità di ascoltare la Parola che il Signore, in particolare attraverso la testimonianza dell’apostolo Paolo, ha da rivolgerci in questo tempo segnato dalla pandemia e da altre fragilità umane e spirituali. È ritmata dalla preghiera comunitaria, dall’approfondimento di alcune pagine della Scrittura e dalla preghiera personale, secondo alcune indicazioni tipiche della spiritualità di Sant’Ignazio di Loyola, dal silenzio prolungato e alcuni momenti di scambio fraterno.

L’intera proposta viene guidata da don Silvano Trincanato, direttore dell’Ufficio di pastorale della famiglia della diocesi di Padova ed è offerta dal medesimo Ufficio e dalla Casa di spiritualità Santa Maria del Covolo.

L’inizio degli esercizi spirituali è fissato per le ore 18.00 di venerdì 2 luglio e la conclusione per le ore 17.00 di domenica 4 luglio 2021.

La Casa di spiritualità, adagiata sulle pendici del Monte Grappa e situata accanto al Santuario della B.V. Maria del Covolo, offre numerosi spazi per la preghiera e la meditazione all’interno e all’esterno.

La proposta prevede la pensione completa ma non il servizio di baby-sitting.

Quota di partecipazione: 100,00 €.

Per informazioni e iscrizioni:

Tel / fax: 0423 53044

E-mail: casaspiritualita@servemariachioggia.org