Messaggio per la festa di San Benedetto, abate, patrono d’Europa
Carissimi fratelli e sorelle,
la festa di San Benedetto ci è propizia per raggiungervi con questo messaggio scritto a più mani e portatore di un grande desiderio di pace.
In questo modo vogliamo arricchire del carisma benedettino la nostra Chiesa diocesana e con essa il suo territorio. Pax infatti è motto benedettino e “pacis nuntius”, messaggero di pace, è uno dei titoli di San Benedetto che San Paolo VI ricorda nell’omonima lettera apostolica con la quale il 24 ottobre 1964 dichiarava il Santo da Norcia Patrono d’Europa.
Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina stiamo percependo il valore della pace in modo ancora più urgente e vitale. Quando le guerre sono lontane, si può far finta di niente e si può parlare di pace senza coglierne a pieno il significato e la portata. In questi mesi non è così: la guerra è vicina a noi e stiamo comprendendo che creare pace è un processo molto complesso. Il rischio è desiderare la pace scegliendo il paradosso di perseguirla facendo la guerra. La pace non può mai darsi per garantita, né per scontata, ma richiede di vigilare e lavorare costantemente per essa. Va costruita giorno per giorno in noi stessi e nella comunità a cui apparteniamo.
Volere la pace e operare per la pace sono passi diversi. Come ci ricorda il Vangelo, «beati» sono gli operatori di pace (Mt 5,9) e non quelli che semplicemente la desiderano senza operare in loro e fuori di loro per costruirla.
La cura della pace infatti richiede l’esercizio delle virtù e il concorso di più virtù. Richiede cioè di lavorare in noi stessi e su noi stessi, per acquisire innanzitutto l’umiltà, la mitezza e la pazienza; richiede la conversione interiore di ciascuno, presupposto per il perseguimento della pace sociale, se non si vuole, anche inconsapevolmente, adoperarsi per sostenere conflitti nascosti o addirittura guerre aperte. Operare per la pace è inseparabile dall’operare per la virtù della giustizia, per l’eticità delle soluzioni proposte, per la riconciliazione proattiva tra le parti che si contrappongono. Operazione non facile: siamo consapevoli che tutto questo ci espone alle reazioni di quanti vedono solo se stessi, le proprie ragioni e i propri interessi. Per questo se si sceglie la pace, è necessario crescere nella virtù del coraggio fino a saper affrontare, in modo pacifico, la viltà della guerra.
Notava San Paolo VI che la prima pace da cercare, anche rispetto agli altri, è la pace del cuore: quello stato d’animo di giustizia, bontà e serenità, che ci rende rispettosi e benevoli verso tutti, e toglie dal nostro animo quei sentimenti che interrompono la circolazione, almeno potenziale, dell’amore del prossimo. La pace esige una sua psicologia, un suo spirito morale, che prima di rivolgersi agli altri si riflette sopra colui che vuole esercitare la pace. Prima d’essere sociale la pace è personale (cfr. Paolo VI, Udienza Generale, 4 giugno 1975).
Luogo privilegiato di esercizio di pace è la comunità, sull’esempio della comunità benedettina. Proprio perché siamo persone e non individui, è nella comunità che ciascuno di noi scopre di essere essenzialmente relazione: con gli altri, con il Creato e con Dio. Così è nella comunità che impariamo a vivere questa relazione passando da un amore possessivo centrato su di noi a un amore espansivo centrato sull’Altro e su gli altri.
La comunione della comunità, l’unione sociale auspicabile, non ha come modello l’uniformità della sfera, ma la composizione plurale del poliedro (cfr. Papa Francesco, Evangelii gaudium, 236). Si tratta cioè di giungere a un’unità nella diversità e a una comunione nella libertà, che esigono e propiziano la continua tensione tra particolare e universale, tra l’uno e il molteplice, tra il semplice e il complesso. L’unità della società, come nella comunità pensata da San Benedetto, non nasce da un comune background, ma da una volontà che s’impegna e si sforza di rinunciare all’individualismo e condivide valori che sceglie di perseguire attraverso mezzi comuni. Gli immancabili conflitti tra visioni diverse vanno risolti non nel sincretismo o nell’assorbimento (la sfera), ma giungendo a una composizione superiore che conserva in sé le potenzialità dei diversi piani inizialmente in contrasto (il poliedro).
Questo 11 luglio festeggiamo San Benedetto chiedendo la sua intercessione per divenire anche noi operatori di pace secondo il suo insegnamento, che conduce ad una pace integrale capace di abbracciare tutte le dimensioni della nostra vita, con particolare attenzione alla cura della “casa comune”, a cui ci richiama con evidenza la siccità che sta attanagliando il nostro paese e come ci rammenta il dramma consumatosi nei giorni scorsi sulla Marmolada, tragedia che trova radici nelle conseguenze del cambiamento climatico. Se ogni cittadino, ogni cittadina, e ogni Stato europeo saranno costruttori di pace, allora l’Europa potrà attendere alla costruzione di un futuro di pace, fondato su valori comuni, nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli presenti al suo interno e nel mondo.
+ Claudio Cipolla, Vescovo di Padova
Dom Giulio Pagnoni, Abate di Santa Giustina
Dom Stefano Visintin, Abate di Praglia
Madre Maria Chiara Paggiaro, Abbadessa di San Daniele
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