1° maggio 2021 – Festa dei lavoratori
Il sentimento che prevale questa sera è la gratitudine: ringrazio il Signore di poter essere qui con voi a celebrare la vigilia della festa del lavoro. La Veglia che stiamo vivendo raccoglie le sofferenze di questo lungo tempo di chiusura delle attività e le speranze che questa sia anche la vigilia della ripresa.
Sono grato a tutti voi che avete desiderato essere qui presenti a rappresentare i vostri colleghi amministratori, albergatori, commercianti, lavapiatti, camerieri, cuochi e addetti alla cucina, estetisti e addetti alle cure termali, ristoratori, baristi, artisti, operatori turistici…
Il titolo della nostra Veglia “Il lavoro che vogliamo: innovativo, sostenibile e per tutti” riprende il tema del lavoro dignitoso della scorsa Settimana sociale dei cattolici italiani e si collega al tema della prossima Settimana Sociale sulla transizione ecologica, che si realizzerà a fine ottobre. Questo ci ricorda che siamo parte del grande cammino della Chiesa che in vari modi si adopera per costruire un mondo migliore attraverso il lavoro di tutti e di ciascuno.
Affermare che vogliamo un lavoro innovativo significa avere fiducia nella tecnologia e nelle sue potenzialità di impiego. Addirittura l’evento negativo della pandemia ci ha rivelato l’utilità delle innovazioni tecnologiche in particolare di quelle digitali. Ci preoccupa l’innovazione quando lede la dignità umana, togliendo lavoro, impoverendo le relazioni, limitando l’ingegno e le abilità dei lavoratori; ci impensierisce ed inquieta l’innovazione tecnologica quando concentra le ricchezze nelle mani di pochi e affama la gente; ma insieme auspichiamo, e ci sembra possibile, una progettazione ed un uso sapiente della tecnologia da parte di tutti, ognuno per la sua porzione di responsabilità.
La gestione illuminata da parte della politica può fare della tecnologia sia un mezzo di inclusione sociale e lavorativa, sia uno strumento di conciliazione della vita professionale ed economica con quella personale, affettiva e famigliare. L’impiego delle macchine può concretamente permettere a tutti di lavorare e di lavorare in base alle proprie capacità. La tecnologia a servizio dell’umanità e della creazione è un’alleanza da costruire tenacemente e con l’apporto di tutti.
Ma c’è un altro mutamento più urgente, senza il quale non vi è nessuna vera innovazione ed è quello dei cuori. Solo se avremo cuori rinnovati, avremo menti illuminate e capaci di immaginare un mondo nuovo.
Celebriamo la festa del lavoro con la preghiera proprio perché solo da cuori nuovi nasce una nuova organizzazione sociale.
Se veramente vogliamo il benessere nostro e delle generazioni future, l’innovazione da attuare è un cambio radicale di mentalità. Egoismo, prevaricazione, divisioni, avidità, corruzione, illegalità, favoritismi, abusi del territorio, sfruttamento dell’ambiente e delle persone non possono essere gli ingredienti della ripresa. Abbiamo bisogno di fiducia reciproca, di rispetto della dignità di tutti, di riconoscimento del valore del lavoro di ciascuno, di visione comunitaria del futuro, dobbiamo liberare la creatività e non temere la novità. Siamo noi, uomini e donne chiamati a salvaguardare i beni del territorio -e voi ne avete tanti!- ed a porli a servizio del bene di tutte le persone.
Avere cura della casa comune infatti vuol dire anche evitare sprechi, ridurre il più possibile i rifiuti e rendere accessibili a tutti i beni comuni e i benefici delle risorse naturali. Rispettare l’ambiente e condividerne i doni è ricchezza per il presente e sicuro investimento per il futuro. E questo è possibile a chi educa il suo cuore e lo difende da ogni forma di avidità.
La Parola che abbiamo letto racconta che Dio manda il diluvio e assieme agli essere umani vengono distrutti tutti gli altri esseri viventi. Cos’ha da dirci questo testo? Ci ricorda che quando “la cosa molto bella e molto buona” cioè l’uomo, si corrompe, si perde, smarrisce la sua vocazione di custode del giardino e dei fratelli, allora Dio non riesce più a vedere bella e buona la sua creazione.
In un contesto di degrado però l’ultima parola non è la morte, perché Dio trova sempre “un giusto” con cui stringere una nuova alleanza. Le comunità, le imprese, i territori si salvano ogni giorno da situazioni guastate e da crisi radicali, perché ci sono persone – e tra questi dovrebbero sentirsi interpellati i cristiani – che sentono la chiamata ad essere portatori di salvezza e rispondono costruendo con la loro vita e il loro lavoro, un’arca.
Riapriamo le attività, ma prima apriamo i nostri cuori. Anzi riapriamoli rinnovati nel profondo! Quello di cui ci occupiamo e il modo in cui lo facciamo dipende da ciò che portiamo nel cuore.
Nel Messaggio dei vescovi per la festa del lavoro del primo maggio – a cui ho contribuito – si evidenzia infatti “l’importanza della generatività, che si fonda sull’«amore pieno di verità» (CV 79). Il generare richiede la responsabilità e la capacità di uscire da se stessi per aprirsi all’altro nel segno di una vita segnata dall’amore, unica realtà in grado di rendere la vita piena e feconda.”
Chi meglio di voi sa comprendere il valore della cura come modalità efficace anche nel lavoro?
Le attività delle Terme nascono dalla cura alla persona e hanno segnato uno stile di vita oltre che reso possibile lo sviluppo dell’economia locale.
Qui la relazione tra ambiente e lavoro è strettamente connessa come l’argilla all’alito di vita nel racconto della Genesi. Qui la vita della terra e la creatività umana si intrecciano per prendersi cura delle persone. Lo sviluppo del territorio e il benessere di chi vive e vi lavora dipende dal rispetto e dal senso di riconoscenza verso i beni naturali.
Le potenzialità benefiche delle terme sono una risorsa preziosa per la cura di tante patologie e malesseri. Con le vostre attività potete sfruttare i bisogni estetici e sanitari per fare business, oppure potete rendere questi luoghi spazi di riabilitazione del corpo e dello spirito. La prima via è quella larga, quella che sanno percorrere molto bene anche gli investitori e gli speculatori, anche quelli esteri, la seconda è la via stretta che sa percorrere solo chi ama il suo territorio e pone le persone al centro del proprio lavoro.
Questa è la via che fa sentire ospite e non cliente chi arriva e così riparte rinnovato, è la via che crea lavoro dignitoso e che ci permette di consegnare un futuro bello ai nostri figli. È la via della amabilità, del rispetto, del servizio gentile e cortese, del dialogo e della stima.
E richiede lungimiranza politica nella capacità di collaborare per una progettazione comunitaria del territorio.
Subito dopo l’episodio dell’arca gli uomini salvati dal diluvio si mettono a costruire Babele, una città fortificata con al centro una torre. Un grande lavoro collettivo, ma non tutte le opere e neppure le cooperazioni sono buone e questa ne è un esempio. I costruttori di Babele si illudono che la loro sicurezza possa venire dall’arroccarsi, dal chiudersi, dal difendersi, dal preservarsi da tutto e da tutti, dall’imporsi con arroganza sugli altri.
Dall’opera di costruzione dell’arca possiamo invece apprendere che quando l’obiettivo della collaborazione è la salvezza di tutti, allora Dio si preoccupa di ogni particolare del progetto e ha premura che ognuno trovi accoglienza e possa dare il suo contributo. Quest’opera resiste a tutte le onde, come nella parabola della casa costruita sulla roccia.
Nell’anno a lui dedicato, mettiamo le nostre vite e il nostro lavoro sotto la protezione di San Giuseppe Patrono della Chiesa. Guardiamo “al coraggio creativo” di San Giuseppe, quello che emerge soprattutto nelle difficoltà e che fa nascere risorse inaspettate. Dal carpentiere di Nazareth impariamo a trasformare un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza, che accende il nostro ingegno, la nostra solidarietà, le nostre visioni del futuro e di servizio al benessere delle persone.
+ Claudio Cipolla, vescovo
30 aprile 2021