Il senso del dissenso

In un momento di dialettica così aspra a livello sociale e di ascesa di culture semplificate mi sia permesso una riflessione sugli anticorpi. Risistemando una libreria è spuntato un quaderno datato 1991, testimone di un pellegrinaggio in Polonia e di una visita ai campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau. Tra le emozioni ho annotato la risposta della guida ad una domanda affatto banale: «Possibile che migliaia di persone non si siano rese conto di quanto stava succedendo?»
«Ai gradi alti della società –ha replicato- si è comprato il silenzio e la complicità di militari e civili con il potere, mentre in basso ha prevalso il progressivo adeguamento e addormentamento della coscienza. Se tu paghi una persona con potere o privilegi non hai idea fino a quale grado sia disposta a tapparsi il naso».

«Chi stava in alto è comunque colpevole –continuano gli appunti sbiaditi, presi in fase di riflessione con guida e gruppo italiano- sia che abbia compreso e taciuto, sia che non si sia reso conto perché ha comunque ignorato i segnali di dissenso […] Basta non mettersi mai in discussione in maniera seria per portare una moltitudine sull’orlo del baratro […]  Si tende sempre a tacitare, esiliare, screditare, normalizzare, nascondere, ostentare normalità anche se i segnali sono drammatici […] Crearsi un sistema di regole private valide solo in una stretta cerchia è fondamentale per fare credere agli altri che sono loro a sbagliare».

Per descrivere la condizione di chi stava in basso mi sembra interessate l’apologo della rana bollita attribuito a Noam Chomsky:

una rana nuota in un pentolone di acqua fredda. Si accende il fuoco e la rana gradisce l’acqua tiepida. Poi, salendo la temperatura, la avverte appena più calda del necessario e, infine, quando l’acqua diventa troppo calda la rana è così indebolita da non riuscire a fuggire da quella trappola mortale. La rana muore bollita senza essersi accorta del rischio.

Il dissenso mi appare invece, proprio in questo momento storico, come buon segnale di un organismo sociale sano. Le dimissioni e le “promozioni” nello staff degli stretti collaboratori di Trump parlano chiaro, tanto per fare un esempio.
Un dissenso che, in molti casi, deve andare forzatamente per sottrazione per non divenire complicità: gli esuli, spinti o volontari, utilizzano la lontananza fisica –oltre che come veicolo di salvezza- come antidoto ai bias dell’ideologia. Ampliare artificialmente e insufflare di retorica gli spazi della comunicazione (lo sa bene chi gestisce il potere, è la prima cosa da controllare, insieme all’aspetto economico) diventa inversamente proporzionale agli spazi dell’interlocuzione.

In altri tempi, o ad altre latitudini, la propaganda di regime è stata così potente da deformare la realtà a tal punto da confondere gli opposti, bene e male, giusto e sbagliato. Per questo il disaccordo non può mai essere un fenomeno di massa: la sentinella del dissenso è spesso martire del sensorio che ha ricevuto in dono dalla natura e del coraggio che ha maturato nell’intimo.

Il dissenso positivo, motivato, non violento e culturalmente attrezzato va preservato come i canarini nelle miniere.
Sulle orme di Pino Puglisi una preghiera per tutti gli operatori di verità, giustizia, pace e lotta ai soprusi.

Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. (Chesterton)

Marco Sanavio
Direttore www.diocesipadova.it

 


Nell’immagine: l’astensione eloquente di August Landmesser


Con questo ultimo editoriale mi congedo dalla direzione del sito Diocesipadova.it e dell’Ufficio per le comunicazioni sociali.

Grazie ancora a tutti per l’attenzione che ci avete dedicato in questi anni e la pazienza che avete portato con i nostri limiti.

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