Maestri nel trasformare i fallimenti in casi di successo

Mi meraviglio sempre più della capacità alchemica di alcuni nel trasformare i fallimenti in casi di successo. «Ma… è proprio la logica del Vangelo» si potrebbe obiettare. Andiamoci piano con i paragoni. Il Vangelo parla di un fallimento chiaro, pubblico, riconosciuto e ammesso: Cristo è veramente morto sulla croce. E la Risurrezione risulta altrettanto vera e credibile da aver dato origine alla moltitudine di fedeli che oggi è sotto i nostri occhi.

«Abbiamo trasformato la nostra realtà editoriale in un’ottica molto ampia di animazione culturale, andando ad interagire con nuove frange di mercato» mi ha confidato un operatore dei media che si occupa del settimanale di una congregazione. È palese, in realtà, che questo prodotto occupa una nicchia sempre più ristretta, che non interessa più il pubblico adulto e raggiungere un numero sempre più esiguo di “abbonati” perché ridotti progressivamente da sorella morte. Utilizzo le virgolette perché sono stato testimone più volte della ricezione di periodici che nessuno aveva richiesto e, purtroppo, del rapido transito di questi periodici dalla cassetta della posta al cestino. Non sarebbe più opportuno affermare con umile onestà intellettuale che queste modalità di contatto con la base non sono più adeguate e sufficienti, non più così funzionali al «mantenere vivo il carisma della congregazione» e, piuttosto, impegnare energie a cercare nuove forme per interagire con l’uomo moderno? Più arduo, vero?

L’altra strategia è quella del basso profilo: che nessuno sappia del fallimento! Un centro di formazione storico e portato in palmo di mano implode rapidamente nel giro di pochi anni. I locali dismessi e il personale ricollocato, a volte in maniera inopportuna. Giova far finta di niente alimentando la retorica del nome altisonante e nel contempo appiattendo la notizia del fallimento con la strategia della sogliola, così da farla scivolare inosservata sotti gli infissi dell’informazione? O risulta più opportuno ammettere pubblicamente con sincerità che non si è più stati in grado di sostenere, che c’erano le persone sbagliate o anche che la società e mercato sono cambiati e non si è riusciti a stare al passo?

In ogni caso i fallimenti non ammessi o minimizzati rischiano di trasformarsi in potentissimi boomerang. Infatti la retorica del successo o la smaterializzazione del fallimento possono attecchire solo all’interno della bolla di persone appartenenti ad contesto omogeneo. Per tutti gli altri, per il mondo, c’è semplicemente un fallimento palese e qualcuno che non vuole o non è in grado di ammetterlo e, quindi, perde di credibilità.  «Anche avessi fatto questo solo per una persona, ne varrebbe la pena!» Ci credo solo se si tratta di amore o Vangelo, per il resto valgono gli impietosi numeri e le regole di economia domestica che ti mettono in guardia dal non spendere quello che non hai in cassa.

Per risorgere bisogna ammettere di essere veramente morti e sepolti.

Marco Sanavio

direttore www.diocesipadova.it

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