È così difficile ammettere: «Ho sbagliato?»

L’istituzione non sbaglia mai.

Così pensavo da ragazzo, quando cercavo ancora in maniera analogica, tra le pagine della biblioteca, spiegazioni e chiarimenti sull’infallibilità del Papa ed ero già entrato in un sistema gerarchico di governanti e governati che andava oltre le consuete autorità domestiche. In quegli anni, con l’esempio granitico di Giovanni Paolo II, i canali televisivi che si contavano sulle dita di una mano e la stampa meno globalizzata e irriverente di oggi, era più semplice pensare alle istituzioni come sfere lucide, senza incrinature. Poi il pensiero si evolve e appare chiaro che l’istituzione, quando sbaglia, non lo ammette o comunque sviluppa una grande capacità mimetica nel non farlo trasparire, pur di fronte a fatti inequivocabili.  Ammettere di aver sbagliato, infatti, significa mettersi in discussione, aprire pericolose brecce nel principio di autorità

Una paio di mesi fa ho assistito, nell’ambito dell’evento TEDx Padova, ad una magistrale relazione del prof. Piero Martin, docente di fisica sperimentale all’Università di Padova, sulla “verità dell’errore”: sperimentarlo, ammetterlo e superarlo, ammette Martin, fa parte del progresso scientifico. A me verrebbe da aggiungere, supportato da più di qualche pagina di Vangelo, che la verità dell’errore potrebbe far parte anche del progresso spirituale. Un’ampia rassegna di perdenti che va dal figlio minore della nota parabola a Zaccheo sino ad approdare a Pietro rivela che l’ammissione e il passaggio attreverso l’errore è una cifra nodale del Vangelo che si rivela potente chiave di acceso all’incontro con Dio. Gira da tempo, infatti, in Rete un meme che riporta la declinazione del termine inglese “fail” (errore) come acronimo di first attempt in learning, primo tentativo nell’apprendimento.
A contattare il divino si impara anche attraverso l’ammissione di sbagli singoli e comunitari.

Gli errori evangelici sembrano eliminare una porzione di territorio delle possibilità così da permettere di concentrarsi sull’inesplorato. Sono errori che generano valore e creano euristiche che semplificano le soluzioni del futuro. Chissà se ci saranno anche questi tra i motivi che hanno portato papa Francesco ad ammettere i suoi errori di valutazione «per mancanza di informazione veritiera ed equilibrata» sugli scandali del Cile e a presentare pubbliche scuse in una lettera diffusa l’11 aprile scorso. Una lezione di comunicazione straordinaria che si ripercuote ancor oggi a mesi di distanza, oltre che di umanità. «Chiedo perdono –ha scritto il Pontefice- a tutti coloro che ho offeso e spero di poterlo fare personalmente negli incontri che terrò con le persone che hanno testimoniato».

Questa ammissione di responsabilità non solo l’ha reso più umano agli occhi del mondo ma anche più vicino a quei “perdenti” del Vangelo che hanno conquistato il cuore di Dio.

Marco Sanavio

Direttore www.diocesipadova.it

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