L’asino che porta il Mistero

L’asino che porta il Mistero

Un racconto per la Settimana Santa

C’era un po’ di inquietudine nella stalla quel giorno. Non era solo la primavera, che gli asini sentono come gli umani e tutti gli altri animali. Era cominciato tutto quando due signori, la mattina, erano venuti a chiedere con tono insolito Asen, con urgenza, per un compito che anche loro non sapevano spiegare bene. Asen era il più giovane. Aveva risposto con disponibile slancio a quella chiamata, rimuovendo qualche retropensiero. Quando era rientrato nella stalla era pensoso e frastornato, ma con le orecchie più diritte del solito, elettrizzato. «Non dici niente?» chiese infine Shomar, che era un po’ il decano del gruppo. Fu come aprirgli le cateratte del cuore.

Così parlò Asen: «Quando ho capito che i due personaggi misteriosi non mi cercavano per fare uno stufato, ho sentito una grande pace interiore, ma anche una grande commozione. Mi hanno steso sulla groppa un mantello e vi hanno fatto sedere Gesù. Ricordate? quel Gesù che ogni tanto abbiamo visto in giro anche noi. È un omone; eppure un giogo così soave e un peso così leggero la mia schiena non lo ricordava. Io non capivo bene che cosa stesse accadendo. La gente si accalcava, gridava, faceva festa. Deve essere proprio speciale questo Gesù».

Ezechiele, per gli amici Esel, non sapeva leggere; ma gli era sempre piaciuto chi narrava di re e di profeti. Accennò: non gli suonava nuova una storia del genere. Lui ascoltava tutto, ma gli restavano in mente soprattutto le storie in cui si parlava di asini. Si esaltava quando gli chiedevano di raccontare di Balaam e di Saul, di Abigail e tante altre storie che ormai conosceva a memoria. Per farlo arrabbiare, gli chiedevano di Assalonne. Allora bofonchiava: «Non volete capire che quello era un mulo?». Si commoveva quando gli chiedevano dell’asino di Abramo, che si era dovuto fermare alle pendici del Moria. Ma più di tutti lo faceva sognare la pagina del profeta Zaccaria. Sentendo il racconto del giovane Asen pensò: Ci siamo! Lo disse anche, ma non gli prestarono attenzione. Tutta la stalla pendeva dalla bocca del puledrino che concitato continuava il racconto.

«Due signore dall’accento romano, forse mogli dei soldati», diceva, «parlavano di un pullus. Ho capito che dicevano di me, e avrei voluto rispondere che a me del pollo non lo ha mai dato nessuno. Ma il momento era troppo serio per impuntarmi e ragliare. Ho tenuto contegno: portavo Gesù. Asinus portans mysteria, diceva l’altra. Sapete che cosa vuol dire?».

Onesimo, per gli amici Onos, si piccava di essere acculturato. «Il latino – ammise – alla scuola degli asini neanch’io l’ho imparato. La storia del pullus mi lascia perplesso. Ma quanto all’asinus portans mysteria mi pare di aver orecchiato – proprio così disse – che è un incarico importante, il servizio più importante che ci possa capitare. A noi asini affidano some preziosissime, e guai se siamo così asini da credere che importanti siamo noi».

Asen continuava: «Poi ho visto la sua mamma. Mi ha fatto una carezza. Mi ha detto in un orecchio: Grazie. Tu lo porti per un paio d’ore; io l’ho portato per nove mesi. Sai? Quando è nato, c’era là anche uno di voi. Ripenso sempre a tutti quelli che si sono presi cura del mio bambino. Altri lo porteranno fino alle estremità della terra. Dobbiamo essere umili, Asen. Se lo sarai, anche te tutte le generazioni diranno beato». Mi ha fatto un’altra carezza, poi si è tirata in disparte. Si vede che aveva tanti pensieri nel suo cuore. Non dimenticherò mai quella donna.

«Noi asini non facciamo molta fatica a essere umili», osservò Shomar. «Il nostro mestiere è portare legna e altri carichi, perché non siano di peso per gli altri. Tu hai portato Gesù per tutti noi, Asen». «Asinus portans mysteria», ripeteva Onos, quasi seguendo un suo corso di pensieri. «Un asino da re», rimuginava Esel; «uno dei nostri».

«A proposito di legna», disse ancora Asen, quasi lasciando venire a galla un pensiero rimosso: «c’era in giro anche qualcuno con un aspetto che non mi è piaciuto. Parlottavano di legna, da portare. Gliela faremo portare a lui, dicevano. Ho capito che non si trattava di me; per noi asini è cosa di tutti i giorni portare la legna. Ma perché volevano farla portare a Gesù?». «Forse è come la storia di Isacco», disse Esel; e ancora il racconto lo inquietava. «L’asino era rimasto ai piedi del monte, e Abramo la legna l’ha fatta portare al figlio». «Sarebbe il nostro mestiere portare la legna», ripetè Asen. «O i re», aggiunse Onos.

«Se nasco un’altra volta mi piacerebbe essere uomo», disse Asen. «Che sciocchezza!», ribattè Onos. «Lo sai che non si può nascere un’altra volta». «Si dice per dire», intervenne Shomar, difendendo il puledrino. «Anche noi asini siamo capaci di sognare». «Però Asen non è un bel nome per un uomo», ribatté Onos, cercando di depistare il discorso. «Come vorresti chiamarti?». Asen era impreparato a questa domanda. Si sentiva solo un asino. Tacque. «Potrebbe chiamarsi Cristoforo», concluse Shomar.

La luna era ormai quasi piena. Una lama di luce entrava dalla finestra della stalla. Forse era una sera così, quando era nato Gesù, pensava Esel, ma non lo disse. Chissà come si chiamava l’asino che era là quella notte.

Don Tullio Citrini

Teologo, Chiesa Ambrosiana, Milano